Conoscere il comunismo (quarta parte): La formazione e l’ascesa del nume rivoluzionario

Ringraziamo il mensile “Chiesa Viva”, fondato dal sacerdote Don Luigi Villa e diretto oggi dall’Ing. Franco Adessa, che ci concede la possibilità di pubblicare i testi di una rubrica, che compare dal numero 448, a firma del Generale di Brigata Enrico Borgenni, già comandante della mitica Scuola Militare alpina di Aosta.
Per aver una risposta esauriente ai quesiti posti, è necessario ricercare e mettere in luce alcuni elementi salienti della vita, nonché della formazione del pensiero politico-rivoluzionario di Lenin.
Nel 1893-95, inizia la sua attività di rivoluzionario “a tempo pieno”, si direbbe oggi, tenendo delle riunioni di operai delle fabbriche della periferia della città; la sua tecnica è: leggere un capitolo dell’opera di Marx, “Il capitale”, e spiegarne, con il suo linguaggio rozzo e primitivo, il contenuto, altrimenti incomprensibile all’uditorio; indi: passare la parola agli stessi operai, per rispondere poi loro, con “consigli” senza mai, mai, parlare di rivoluzione o di incitare alla ribellione all’autorità zarista. Per Lenin questo è, l’inizio del suo comunismo!… poiché soltanto gli operai, (non gli intellettuali) potevano costituire l’avanguardia della rivoluzione!
In pochi mesi egli divenne il miglior conoscitore delle condizioni di vita nelle varie fabbriche, acquisì credibilità, autorevolezza e prestigio, anche perché, presentandosi un pò trasandato, con i panni logori, era facilmente considerato appartenente al basso popolo del quale condivideva la miseria e le privazioni.
Tra la cerchia dei lavoratori egli scelse alcuni elementi ciecamente devoti, circa una dozzina, che dovevano costituire i “virus” per poi diffondere la “malattia incurabile, “la rivoluzione”!… Tanto più si approfondiva il contatto con gli operai, tanto più profondo si apriva l’abisso con gli intellettuali della “intellighenzia russa”, illuminata di spirito europeo, socialdemocratica. Il grido programmatico di Lenin all’epoca, era: … noi non riconosciamo nessun governo, nessuna società, nessun diritto!..noi non vogliamo aiuti!.. siamo abbastanza forti per conquistarci con una lotta cruenta e violenta la libertà e i nostri diritti!… Un linguaggio questo certamente non adatto ai rivoluzionari da salotto pietroburghesi. Gli opuscoli del tempo stampati in una tipografia clandestina e diffusi nelle fabbriche, “Di che viviamo” e “Fame regina” erano evidentemente diretti a separare le masse lavoratrici dalla classe intellettuale socialdemocratica.
Nell’estate 1895, il “Comitato d’azione per la liberazione delle classi dei lavoratori” che lo stesso Lenin aveva fondato, lo inviò all’estero per far conoscere il movimento socialista russo ai capi riconosciuti responsabili della rivoluzione internazionale; alcuni personaggi importanti (veri e propri congiurati occulti) gli procurarono un passaporto falso con il quale Lenin partì per Berlino, prima tappa dell’itinerario.
Nella capitale tedesca incontrò Liebknecht, capo dei socialisti, il quale gli illustrò i danni del parlamentarismo; fu poi a Parigi, dove il socialista Lafargue rimase visibilmente stupito di fronte alle affermazioni di Lenin circa lo studio degli scritti di Marx da parte dei lavoratori russi, i quali, anche se non lo capivano bene come i colleghi francesi, ciò non costituiva un fatto rilevante, perché Marx lo capiva bene solo Lenin, per tutti, in modo univoco suo personale e speciale! … Egli diceva:. “le masse sono abituate a pensare con il cervello altrui e a seguire i movimenti delle mani altrui!.. La collettività, vive con il cervello dei suoi capi eminenti e questo deve bastare!.. Essa può svilupparsi, soltanto, quando è tenuta unita con un pugno di ferro!…
Lenin proseguì il suo viaggio verso il tradizionale asilo dell’emigrazione politica russa sul Lago di Ginevra, dove vivevano, da diversi anni, i venerati e riconosciuti capi della socialdemocrazia russa, Georghj Plechanov, Vladimir Axelrod, persone distinte, dai capelli bianchi, impegnate nella scrittura e pubblicazione di ponderosi libri, di elucubrati quanto incomprensibili saggi e articoli; a loro si aggiungeva la Vera Sasulich, che a differenza dei colleghi, vestiva con pochi stracci, portava i capelli corti, spesso sporchi, fumava un centinaio di sigarette al giorno gettando la cenere e le cicche ovunque, sui manoscritti, nei calamai e anche sule barbe dei compagni vicini; una antesignana “pasionaria” che sognava insurrezioni, barricate e che scriveva appelli rivoluzionari di fuoco!.. Il terzetto viveva unitamente a Ginevra, onorato, nutrito e sostenuto con le generose sovvenzioni degli intellettuali russi, naturalmente, sotto la stretta sorveglianza della polizia zarista.
Lo scopo segreto della visita di Lenin fu quello di accreditarsi presso il capo del marxismo russo Plechanov, nonché di far dimenticare in patria, la sua strana e censurabile condotta durante lo sciopero e le dimostrazioni degli operai delle officine Semiannikov e il suo sprezzante atteggiamento nei confronti dei seguaci dello stesso Plechnnakov.
Dai libri e dagli articoli degli esuli, emergeva sempre un odio implacabile contro il regime e il potere dello zar.
“Legge suprema, è il trionfo della rivoluzione!”. Lenin condivideva tale principio, ma tutto l’apparato del partito era nelle mani di quei tre esuli che, tra l’altro, non conoscevano le condizioni di vita del proletariato il russo, se non per i racconti dei saltuari visitatori provenienti dalla lontana patria. Ogni giorno dal primo mattino fino a tarda sera, il terzetto ideava, stabiliva e organizzava “tutte le attività rivoluzionarie“ del partito.
Lenin descrisse loro tutta l’enorme miseria, la fame, diffuse nel popolo in Russia e, nel contempo, tutta la sua ammirazione per lo sviluppo della meccanizzazione e dell’industria e la conseguente diffusa ricchezza, da lui constatate nel corso del suo viaggio nell’Europa occidentale. Egli, scherzando diceva: “….sarebbe una sciagura fare una rivoluzione in Europa”…. “….e in Russia, non vi rincrescerebbe?”… gli chiese Axelrod?……
“No, per niente”….fu la sua risposta!..
Lenin fece un’ottima impressione sui vertici del partito. Il tenebroso e sospettoso Plechanov capì subito di avere a sua disposizione un uomo, che, nonostante il suo aspetto insignificante, per il suo dinamismo e la sua determinazione rivoluzionaria, poteva divenire una guida, un capo della rivoluzione in Russia. Nel gelido distacco, imposto dai tre capi, Lenin non espose astutamente le sue idee e ancor meno i suoi principi.
Ne fu compensato con un attestato delle sue virtù socialiste, nel quale gli veniva attribuita e riconosciuta una esclusiva autorità di sottocapo operativo per la Russia. Con tale “patente”, nessun marxista in Russia, poteva mettere in discussione la sua autorità o intraprendere azioni contro di lui.
“Largamente sovvenzionato” e con un’abbondante letteratura segreta nel doppiofondo del baule, Lenin fece ritorno in patria nell’autunno 1895.
Al posto di confine, l’agente di polizia russo, impressionato per l’aspetto dimesso e trasandato del falso Ulianov, telegrafò a Pietroburgo trasmettendo i connotati del sospetto. La personalità dell’ex avvocato rivoluzionario era già ben nota agli organi della polizia politica. Pochi giorni dopo, all’ufficio indirizzi di Pietroburgo (la nostra anagrafe comunale), comparve un agente di polizia criminale alla ricerca del domicilio dell’Ulianov e di altri.
All’impiegata disse …”siamo sulle tracce del pericoloso rivoluzionario Ulianov, ritornato dall’estero, questa volta non ci sfuggirà”……; al termine del servizio, questa corse da sua cugina, Nadja Krupskaja, maestra in una scuola festiva, che apparteneva a un ristretto circolo segreto del quale faceva parte anche Lenin, informandola del pericolo di arresto che incombeva sul rivoluzionario.
Poche ore dopo, Lenin, avvertito, scomparve definitivamente dalla sua abitazione. Si direbbe oggi: ”passò in clandestinità”!… Da questo momento l’insignificante maestrina, una minutante delle riunioni segrete del circolo, diventa la fedelissima, efficientissima, indispensabile collaboratrice, segretaria (poi moglie) di Lenin. Essa rimarrà sempre nell’ombra, non avrà mai il minimo dubbio sul pensiero e sull’azione del suo uomo-idolo e mai lo abbandonerà.
Fuori città, nelle foreste, nei capanni abbandonati, Lenin incontra i suoi fedelissimi; con loro fonda la “Lega di combattimento per l’emancipazione della classe operaia”. In luogo delle astruse teorie marxiste, impartisce istruzioni pratiche di lotta rivoluzionaria; pubblica e diffonde il periodico clandestino “L’attività dei lavoratori”. Ma nella notte tra l’8 e 9 dicembre viene arrestato con i capi della lega.
Nelle carceri di Pietroburgo per Scelgunov e gli altri è la fine di ogni attività rivoluzionaria; a Lenin, essendosi dichiarato scrittore, gli fu assegnata una piccola e pulita cella, fu dotato di tutto il materiale per poter scrivere e gli fu concesso di ricevere dall’esterno libri e pubblicazioni, per continuare l’occupazione dichiarata. Attraverso lo scambio di libri, Lenin escogitò il modo di comunicare con l’esterno e continuare a dirigere l’attività rivoluzionaria. In un tratto di un libro che restituiva, contrassegnava con un foro di spillo la parte nella quale aveva scritto con il latte, tra le righe stampate, il suo messaggio segreto. La pagina, esposta poi al calore, rivelava agli adepti i suoi ordini. Il latte necessario veniva accumulato alla colazione in piccoli calamai fatti con la mollica di pane che, in caso di improvvise ispezioni carcerarie, potevano essere facilmente ingeriti senza alcun danno.
Nel corso dei 16 mesi di detenzione, Lenin s’interessò anche dei suoi compagni di prigionia, facendo aver loro, nei limiti del possibile, ogni aiuto dall’esterno. Egli si dedicò ai suoi appassionati studi statistici e teorici che furono alla base del suo libro scritto nel silenzio indisturbato della cella “Lo sviluppo del capitalismo in Russia”. Ma non gli fu possibile finire la sua opera. Una nuova ondata di arresti riempì le carceri della capitale, tra gli arrestati anche la Krupskaja, Lenin fu rilasciato, nell’aprile 1897 e condannato a 3 anni di deportazione in Siberia nel villaggio di Sciuscenskoje in un distretto Minussin, nel medio corso del fiume Jenissei.
Poco tempo dopo, a seguito di un’agitazione carceraria, anche la Krupskaja fu rilasciata e condannata alla deportazione siberiana a Ufa molto lontana dal suo maestro. Essa chiese allora di raggiungere Ulianov, dichiarando di essere la sua fidanzata e di avere la comune intenzione di sposarsi al più presto!.. Nel “duro” regime zarista venivano sempre rispettati e favoriti i vincoli di parentela. Accompagnata dalla madre, dopo qualche mese, essa raggiunse Lenin a Sciuscenskoje; per ottemperare agli ordini delle autorità di polizia che non ammettevano dichiarazioni non veritiere, a pochi giorni dall’arrivo,nella locale Chiesa ortodossa, furono celebrate le nozze; la coppia andò ad abitare con la madre della sposa.
L’unione con Nadja Konstantinova durerà per tutta la vita di Lenin; ella lo seguì ovunque, nelle ribellioni, nelle guerre contro la borghesia, nella dittatura. Donna energica, dal carattere calmo, paziente, risoluto, sarà la più fedele efficiente collaboratrice e segretaria del marito. Per le sue mani passeranno i più delicati segreti. Accettò e difese sempre ogni sua nuova tesi, anche quando abbandonato da tutti, il partito comunista risultò formato solo dalla loro strana coppia. Indifferentemente alternòla sua attività di casalinga, che assicurava al marito “il focolare domestico”, a quello d rivoluzionaria, che traduceva, approntava, inviava, opuscoli e articoli. Per le sue mani passeranno i più delicati e sconvolgenti segreti del partito.
Non potrà avere figli; chiuse gli occhi su alcune sue intense relazioni adulterine del periodo del fuoriuscitismo di Ginevra e di Parigi, tra le più note quella con la misteriosa Elisavieta K.. In alcune circostanze, impose “ la coabitazione a tre” con l’amante; la Krupskaja ne soffrì molto!..Essa era anche afflitta dal morbo di Basedov, si era anche sottoposta a un delicato intervento chirurgico, ma il suo aspetto fisico era decaduto e era venuto meno il suo atteggiamento vigoroso e intraprendente.
Per Lenin queste relazioni sentimentali erano solo gradite e piacevoli varianti irrazionali al ferreo rigore rivoluzionario, anche se talvolta provocavano situazioni a di poco ridicole[1].
La Krupskaja rimase al suo posto, per Lenin rivoluzionario e uomo politico essa era assolutamente indispensabile; non solo pensava sempre come Lui, ma neppure poteva sentire diversamente da Lui, anche sulle cose di poco conto (Solzenistyn), gli assicurava tutte le comodità piccole e grandi del focolare domestico tanto care e indispensabili al Vate e per di più, era la più perfetta efficiente interprete e segretaria esecutiva delle sue volontà.
Sopporterà sempre anche i suoi improvvisi attacchi nervosi la sua perversità e, anche le sue relazioni omosessuali; fino alla fine degli anni’90, fu tenuta segreta la scabrosa e squallida corrispondenza del periodo della rivoluzione tra Lenin e il compagno di partito (amante) Grigorj Zinoviev, relazione purtroppo ben nota alla Krupskaja, che li aveva scoperti una prima volta a letto insieme in atteggiamenti inequivocabili; come pure furono tenute nascoste le gravissime tare di famiglia sia del padre che della madre di Lenin, che avrebbero avuto un ruolo cruciale nella formazione nella sua giovinezza e forse anche nelle progressive lesioni cerebrali della sua maturità.[2]
Fedelmente e assiduamente curerà e veglierà sulla salute del marito; lo assisterà devotamente, negli ultimi anni, nella infermità della incurabile e devastante malattia che lo porterà a una morte atroce e disperata.
L’unico cinico riconoscimento di Lenin nei confronti della moglie è racchiuso nella sua frase: “…alla mia morte, sulla mia tomba, mia moglie approfitterà per tenere un discorso di propaganda sulla necessità dell’allevamento del bestiame”!..
[1]Gennaro Sangiuliano “Scacco allo Zar” Ed. Scie Mondadori, pag.71-76.
[2] Vladislav Shumsky, “Hitlerism is Horrible, but Zionism is Worse”, Mosca 1999 pag.479.
Vladimir Istarkhov, “The Battle of the Russia Gods”, Mosca 2000 pag.37.
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