Giorgio La Pira

I suoi discorsi sulla pace tra i popoli non avevano nulla di cristiano, seppur spacciati di “spirito evengelico” di “annuncio profetico”. I suoi errori sul piano teologico sono tali da doverlo mettere necessariamente da parte.
Non conoscevo Giorgio La Pira, famoso sindaco “santo” di Firenze. O, meglio, conoscevo di lui solo quello che si sente dire, delle sue opere nel capoluogo toscano, dei suoi viaggi in Russia e nel Vietnam, dei suoi convegni sulla pace a Firenze, eccetera. Mi è capitato di recente di vedere la registrazione di un suo originale, un video di una ventina di minuti nel quale il professore, con un tono aulico ed entusiasta, parla del progetto di Dio, come segno dei tempi, dell’istaurazione della pace dei popoli attraverso una serie di incontri e mediazioni, affermando che l’umanità è irreversibilmente incamminata verso tale unificazione. Non avevo mai sentito in diretta La Pira, e sono rimasto senza parole. I suoi discorsi mi sono parsi pure e semplici farneticazioni. Al termine del video tutti gli astanti commentavano entusiasti e favorevoli, mentre io ero silenzioso e profondamente turbato.
Il mio sconcerto era dovuto non solo a quello che avevo appena sentito, ma anche al fatto che tutti erano in linea, d’accordo, ammirati. E, allargando il discorso, non solo i presenti, ma tutta la Chiesa di oggi la pensa così, dal momento che La Pira è in processo di beatificazione, è ritenuto un santo. In effetti egli conduceva una vita irreprensibile, da santo: Messa quotidiana, preghiera continua, rapporto suore di clausura, Ave Maria dette apertamente davanti a centinaia di operai nelle fabbriche. Indubbiamente, sul piano soggettivo, personale, non v’è niente da dire sulla condotta morale e spiritale di Giorgio La Pira, anzi. Ma quei discorsi sulla pace tra i popoli non avevano nulla di cristiano, seppur spacciati di “spirito evangelico” di “annuncio profetico”.
Negli anni ’50-’60 La Pira fece venire a Firenze molti sindaci di città importanti del mondo, e tutti firmarono una sorta di accordo di pace. C’erano anche il sindaco di Mosca (erano gli anni peggiori dell’Unione Sovietica), di Washington, vi erano ebrei e arabi, insomma c’erano tutti. E tutti firmarono. Si esultò e ci si inebriò di quel successo, brindando alla nuova era di pace che finalmente era sorta grazia a quest’opera universale di mediazione.
Mi domando che cosa sia rimasto ora, dopo sessant’anni, di tutto questo. Non solo ora, ma anche cosa in effetti successe dieci minuti dopo quella firma. Finirono le guerre? I sindaci tornarono nelle loro città e si adoperarono per la cessazione delle ingiustizie? Niente affatto. Tutto proseguì come prima. Peggio di prima.
Possibile che a fronte di quella retorica inspiegabile non si sia alzato nessuno, a quel tempo, a leggere il versetto del Vangelo di Matteo: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra” (Mt 10,34)? Nessuno si accorse di questa frase così chiara, esplicita del Signore? E se la pace tra i popoli non l’ha portata nemmeno Nostro Signore (non perchè non ci sia riuscito, ma perchè non era questa la sua missione, per sua espressa dichiarazione!), come poteva un uomo raggiungere questo obiettivo attraverso dei convegni e soprattutto – e questo è quello che appare inconcepibile – in nome di Dio? Eppure tutta la teologia, il magistero, le indicazioni, che vengono date oggi vanno tutte in questa direzione.
Non si può negare in La Pira un’adesione personale al Cristo: chiedeva a tutti di pregare, parlava apertamente, senza alcun timore, della propria fede; anche a Mosca, davanti ai capi comunisti di quel tempo, sotto il regime di Krushev, parlò di Cristo e della Vergine Maria. Niente da dire, da questo punto di vista. Ma il progetto di costruire un’unione mondiale degli Stati in pace tra loro attraverso “abbattimento di muri e costruzione di ponti” – frase oggi molto di moda – questo non appare proprio nel Vangelo.
Gesù non è venuto affatto a portare la pace nel mondo. Per sua stessa dichiarazione, è venuto a portare piuttosto la spada. E, guarda caso, è proprio il suo nome che crea divisione: “Vi perseguiteranno a causa del mio nome” (Lc 6,22). Dunque, dire Gesù, dire Dio, crea immediatamente una divisione, due campi che si aprono: da una parte il Regno di Dio, con Gesù Signore e sovrano e avendo la legge evangelica della carità come Statuto; dall’altra il mondo, il cui principe è Satana, e la cui legge è la concupiscenza e l’orgoglio (1 Gv 2,16).
L’immane sforzo della Chiesa sarà quello di trascinare il mondo dalla sua parte, ossia nel Regno di Dio, attraverso la predicazione, la carità fraterna, la testimonianza, fino al dono supremo, che è il martirio. Il mondo non deve rimanere mondo, ma deve diventare Chiesa. Gesù non ci ha mandato a lasciare le cose come sono, ossia che il mondo rimanga mondo, che le altre religioni rimangano altre religioni, eccetera, ma perché tutto e tutti possano tornare nell’ovile di Cristo, attraverso la conversione e il battesimo. Questo è quello che ha fatto la Chiesa, da sempre. Puro proselitismo, che è parola buona, sana, giusta, mite. La Chiesa è chiamata a fare proseliti, a tutto spiano, ossia a condurre le pecore nell’ovile di Cristo, perché Gesù è, fino a prova contraria, l’unico Salvatore del mondo. Ovviamente tale opera non sarà mai fatta con la violenza, perché i nemici bisogna amarli. Quindi mitezza (beati i miti), quindi povertà e bontà, ma sempre con il desiderio (un tempo chiamato “zelo”) di portare le anime a Dio.
Mai Gesù ha organizzato convegni di sindaci, mai San Paolo fece tavole rotonde con i membri dell’aeropago di Atene, mai i santi hanno fatto simili convocazioni. La dottrina di Cristo e della Chiesa è eminentemente escatologica: il visibile è segno dell’invisibile, perchè la vera vita non è in questo mondo, ma in Paradiso. Là siamo diretti, là vogliamo andare, là è la vera vita. Qui sulla terra tutto è segno, e tutto passa.
La carità, per la quale ci dobbiamo amare gli uni gli altri, è virtù teologale, perchè Dio è amore. Riconosceranno che siamo cristiani dall’amore che ci portiamo, e questo amore termina nella persona, perché per definizione l’Amore è la relazione sussistente tra il Padre e il Figlio.
Dunque, se proprio vogliamo convocare i sindaci del mondo, possiamo anche farlo. Poi una volta che li abbiamo davanti, dobbiamo metterci in ginocchio davanti a loro e supplicare che si convertano a Cristo, che aprano il cuore al Salvatore, che si fidino e affidino alla santa Chiesa e alla potenza dei sacramenti. Tutto il resto è semplicemente inutile, non serve. Quindi, è inganno. E certamente la Chiesa e il Signore non vogliono ingannare il prossimo. Quindi, in ultimo, tutto il resto è menzogna.
La Chiesa sta seguendo l’esempio di Giorgio La Pira? Non vogliamo gettare tutta la croce addosso al povero La Pira, ma la linea di discorsi che sentiamo dalla maggior parte della Gerarchia della Chiesa è sulla linea di quelli lapiriani della pace delle nazioni, della nuova primavera, dei “germi di bene” seminati nel mondo grazie alla Chiesa, eccetera. Tale trionfalismo fu proprio di una certa stagione di Chiesa, nella quale si pensò che, terminata la seconda guerra mondiale, ormai il mondo avesse capito che la guerra non conveniva a nessuno e che quindi tutti fossero orientati a trovare accordi di pace per vivere senza conflitti, di comune accordo.
Sarebbe facile smentire le utopie dell’ex sindaco di Firenze prendendo semplicemente in mano il Vangelo, ma pare che oggi nessuno sappia farlo. Quindi non si sente parlare altro che di pace tra i popoli, disarmo, lotta alle ingiustizie, solidarietà con i popoli migranti, rispetto delle altre religioni, dialogo, eccetera. Se si ascoltano invece i messaggi della Madonna, soprattutto La Salette, Lourdes e Fatima (ma anche Akita, Tre Fontane e Civitavecchia), essi parlano di tutt’altro: parlano di tornare a Messa alla domenica, della riparazione per i peccati, di digiunare, di fare penitenza, di pregare il rosario.
Qui ci sono due programmi diversi, che poi in sostanza alla fine costituiscono due modi diversi di essere Chiesa.
La Pira è in via di beatificazione, quindi la Chiesa ufficiale riconosce come vera, saggia, da seguire, la sua linea e il suo esempio. Noi non possiamo in alcun modo ascoltare la sua voce e accogliere la sua eredità, perché è millenaristica, gnostica, irreale. Dispiace dire questo, perchè La Pira è anche simpatico e invitante, ma i suoi errori sul piano teologico sono tali da doverlo mettere necessariamente da parte.
La dottrina sociale della Chiesa è altra cosa. Essa ci insegna prima di tutto a rigettare l’errore, poi che attraverso il lavoro e la testimonianza della carità le realtà create devono essere portate a Dio, santificate, elevate, consacrate. Ma a Dio, che è uno solo. La pace non è mai e non può mai essere sulla terra un valore finale, perchè poi si muore, e anche se si lascia un mondo nella pace, ma l’anima si danna, a nulla sarà valso il lavoro dell’uomo sulla terra.
Salvezza eterna e dannazione eterna sono ancora drammaticamente reali. Nei discorsi di La Pira questo tema pare eclissato. Non lo è, però, nel Vangelo e nella vita dei santi. Noi stiamo da questa seconda parte.
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