Il ruolo dei laici nella Chiesa

La laicità cattolica non ha nulla a che vedere con quella laicità razionalistica, anticattolica ed irreligiosa, che sarebbe meglio chiamare «laicismo», una mentalità vicina alla massoneria, la quale, fingendo rispetto per la libertà religiosa, vorrebbe, in realtà, se lo potesse, impedire la missione universale della Chiesa cattolica, estinguere la sua dimensione soprannaturale, e ridurre la Chiesa ad una semplice associazione di beneficienza tra le altre, sotto il controllo della stessa massoneria, la quale intende sostituirsi alla Chiesa nella promozione della giustizia, del progresso, della libertà e della pace per tutta l’umanità.
Il laico è il membro del popolo di Dio
Come sappiamo, il Concilio ci ha fatto meglio conoscere la natura e la funzione del laico nella Chiesa. Laico, come pure sappiamo, deriva dal greco laos, che significa «popolo». D’altra parte, il Concilio definisce la Chiesa come «popolo di Dio». Il laicato, dunque, balza in primo piano nella definizione dell’essenza della Chiesa. Occorre però fare attenzione che, nel definire la Chiesa, il concetto di «popolo» non va preso in un senso semplicemente profano.
Non si tratta di un popolo qualunque, ma di un popolo speciale, di un popolo santo, consacrato a Dio nel battesimo, appunto popolo di Dio, appartenente a Dio, «sua porzione», come dice la Scrittura, di Israele, il popolo di Dio dell’Antica Alleanza, popolo che si è scelto fra gli altri popoli per avere con lui una speciale intimità o amicizia, incaricandolo di essere messaggero e tramite di salvezza per gli altri popoli.
Così pure la laicità cattolica o ecclesiale non è una qualunque laicità naturale, profana o politica. Certo non la esclude, ma in sé stessa è laicità solo in un senso analogo a quello col quale comunemente parliamo di laicità, perché, come si esprime il Concilio Vaticano II, essa è un «dono carismatico» (1), il quale è congiunto e armonizzato col «dono gerarchico», proprio del clero e dell’autorità apostolica.
Per questo essa certo non ha nulla a che vedere con quella laicità razionalistica, anticattolica ed irreligiosa, che sarebbe meglio chiamare «laicismo», una mentalità vicina alla massoneria, la quale, fingendo rispetto per la libertà religiosa, vorrebbe, in realtà, se lo potesse, impedire la missione universale della Chiesa cattolica, estinguere la sua dimensione soprannaturale, e ridurre la Chiesa ad una semplice associazione di beneficienza tra le altre, sotto il controllo della stessa massoneria, la quale intende sostituirsi alla Chiesa nella promozione della giustizia, del progresso, della libertà e della pace per tutta l’umanità.
Il laico cattolico può essere tentato di laicismo se, col pretesto dell’autonomia dei laici, respinge opportuni interventi della Gerarchia in campo politico o legislativo in difesa della legge naturale o dei valori morali, come la famiglia o libertà religiosa o la scuola cattolica o i diritti dei lavoratori o la giustizia carceraria o l’assistenza sociale o la regolamentazione dell’immigrazione.
La Chiesa è il nuovo popolo di Dio, popolo della Nuova Alleanza, che non soppianta, ma si affianca al popolo d’Israele, la cui elezione divina non è venuta meno con la venuta di Cristo, ma, come ricorda S.Paolo nei cc.9-11 della Lettera ai Romani, è stata confermata, benché anche gli Ebrei siano chiamati a entrare nella Chiesa, perché essa è l’arca universale della salvezza.
Chiesa Popolo sacerdotale.
In tal senso Lutero aveva ragione di parlare di sacerdozio universale dei fedeli battezzati. E ne parla anche il Concilio, con la precisazione che questo sacerdozio è distinto «per grado e per essenza» dal sacerdozio ministeriale o gerarchico, ossia il sacramento dell’Ordine.
Sacerdozio che significa? Che ogni fedele cattolico offre al Padre celeste per Cristo, con Cristo e in Cristo e nello Spirito Santo il sacrificio della Nuova Alleanza, concorrendo all’offerta del divin sacrificio, la Messa, offerto dal sacerdote ministeriale.
Lo stato laicale del cattolico battezzato è la condizione di base, è ciò che è necessario e sufficiente per essere membri della Chiesa. È lo stato di figlio di Dio, fratello di Gesù Cristo, mosso dallo Spirito Santo (Rm 8,14), erede della vita eterna. In quanto membri del popolo di Dio, tutti i fedeli sono laici.
Lo stato religioso e quello sacerdotale sacramentale gerarchico si aggiungono a questa condizione esistenziale di base, a questo stato ontologico soprannaturale di radicale appartenenza alla Chiesa, ma non la cancellano, bensì la presuppongono sempre nascosta e sottostante al carisma sacerdotale o religioso, tanto che se un sacerdote vien privato dell’esercizio del ministero per indegnità, ciò che gli resta è comunque il carattere sacerdotale, la facoltà radicale, benché non attuale di esercitare il ministero aggiunti allo stato laicale, il quale non è da confondersi, come ho già detto, con una generica laicità profana o meramente umana, propria della condizione civile del cittadino di uno Stato.
Il distinguere dunque laici, religiosi e sacerdoti va bene, purchè ci si ricordi che in questa distinzione laico differisce dagli altri due stati solo perchè non li possiede. Ma anche il religioso e il sacerdote sono laici, in quanto membri del popolo di Dio.
E persino un battezzato scomunicato, fosse pure un membro della Gerarchia, per quanto privato della comunione visibile con la Chiesa visibile, non cessa di essere radicalmente, per il carattere battesimale indelebile, membro della Chiesa e quindi laico della Chiesa. Si potrebbe fare il paragone con le cariche dello Stato: tutti gli Italiani sono cittadini dello Stato Italiano. Un Sindaco, un Presidente del Consiglio, un Presidente della Repubblica non perdono il loro status di cittadini per il fatto di rivestire quella data carica. Restano cittadini con l’aggiunta di quella carica.
Compito dei laici nella Chiesa
Il compito dei laici nella Chiesa è quello di operare singolarmente o in forma associativa per promuovere la dignità umana e i valori temporali e civili ad essa connessi, alla luce del Vangelo, in comunione coi pastori, in obbedienza ed aiuto al magistero della Chiesa e sotto l’impulso dello Spirito Santo, con libertà dei figli di Dio e il senso di responsabilità di membri della Chiesa, secondo quella peculiare forma di santità che corrisponde alla loro vocazione e alla loro missione.
La santità laicale è l’elevazione dell’uomo e l’umanizzazione della natura, la liberazione di questo mondo da tutti i suoi aspetti ingiusti, illiberali e disumani, l’animazione del progresso civile, morale e culturale e nel contempo la custodia delle memorie patrie e delle sane tradizioni, la santificazione del mondo presente in tutti suoi aspetti, dalla vita personale alla vita sociale, dalla famiglia all’educazione politica, dalla cura della salute a quella per i più deboli e bisognosi, dal lavoro all’industria, dalla politica all’economia, dall’arte, alla scienza, alla cultura, allo sport, a differenza della santità del religioso e del sacerdote, i quali ci ricordano la meta celeste, la vita eterna e le vanità del mondo, mentre con la loro stessa vita e le loro opere di carità preannunciano e prefigurano già da adesso l’immagine dell’umanità della resurrezione e della celeste Gerusalemme.
La spiritualità cattolica trova una sua peculiare realizzazione nella spiritualità dei laici, frutto della spiritualità moderna, a partire dal famoso trattato La Filotea di S.Francesco di Sales nel sec. XVII, dove è detto che la «devozione» non dev’esser praticata solo tra i monaci e i religiosi, ma anche «nelle botteghe degli artigiani, nel lavoro dei contadini, nei traffici dei mercanti, alla corte dei prìncipi, nell’alcova degli sposi, nel servizio militare del re».
Da allora, questa spiritualità non ha fatto che chiarirsi e svilupparsi con ottimi frutti, fino a trovare un suo definitivo riconoscimento nei documenti del Concilio dedicati a questo tema, precorsi con acume profetico dal Padre Yves Congar, OP, soprattutto col suo famoso trattato Jalons pour une théologie du laïcat.
Il punto centrale di questa spiritualità è il rapporto Vangelo-mondo, che si potrebbe tradurre in termini antropologici «spirito-carne», quello che Maritain chiama «umanesimo dell’Incarnazione» e forse oggi, dopo gli sviluppi successivi postconciliari, meglio potrebbe essere chiamato umanesimo escatologico o della resurrezione.
Mentre infatti la spiritualità antica tradizionale accentua dualisticamente l’opposizione al mondo e insiste sulla lotta dello spirito contro la carne nell’ideale monastico-contemplativo, la nuova spiritualità laicale, essendo per sua essenza il laico impegnato nel mondo, prospetta un ideale di riconciliazione dello spirito con la carne, che avrà la sua piena attuazione nella resurrezione futura.
Questa spiritualità raccoglie la sfida di Marx nella sua famosa Tesi XI su Feuerbach: «non contemplare il mondo, ma trasformarlo». In termini aristotelici si potrebbe dire: non più la forma contro la materia, ma la forma che dà forma alla materia. È Dio che bisogna contemplare, e in questa contemplazione Dio ci insegna come trasformare il mondo. Ma se confidiamo solo nell’uomo peccatore, ciò non ci porterà a nulla.
Il Concilio supera pertanto il vecchio platonismo della liberazione dell’anima dal corpo, per assumere in pieno l’antropologia biblica, eminentemente riflessa in quella tomista, che non utilizza Platone, ma Aristotele, della trasformazione del mondo secondo il Vangelo.
L’ideale monastico della fuga mundi non è comunque dimenticato, perché in fin dei conti viviamo pur sempre nelle miserie della vita presente, per cui restano sempre necessari l’ascetismo e la vita austera. Tuttavia il Concilio, col suo taglio escatologico, fatto apposta per la spiritualità laicale, apre uno squarcio di luce e di speranza sulla futura riconciliazione di spirito e corpo, di uomo e di mondo.
Sempre nell’ambito della spiritualità laicale, possiamo dire che i laici nella Chiesa dispongono per volontà di Cristo e con la forza dello Spirito Santo di un ampio ed insostituibile spazio di azione o di manovra lasciato alla loro iniziativa e competenza, dove essi possono muoversi liberamente in una pluralità di scelte e di direzioni concrete, anche in contrasto fra di loro, salvo restando il rispetto reciproco e la salvaguardia dei diritti di ognuno.
Solo in occasioni speciali, se occorre la difesa di valori fondamentali della persona o del bene comune, se corre pericolo la sicurezza dello Stato o la libertà della Chiesa o la tranquillità pubblica o la salute della democrazia o il rispetto della Costituzione, i laici cattolici, in comunione con i pastori, devono opporsi compatti alle forze che vogliono distruggere l’unità della nazione o i valori della civiltà o della libertà religiosa.
Laicato e Gerarchia
La figura o carisma del laico cattolico è quella del discepolo del Signore. Quando Gesù predicava il Vangelo, raccoglieva discepoli, che cominciavano a seguirlo. Erano già i primi laici della Chiesa, i primi germi della Chiesa. Successivamente dette loro degli incarichi, soprattutto l’apostolato. Era già l’inizio della fondazione della Chiesa, Chiesa per il momento costituita dall’elemento-base, dai soli discepoli, quindi laici, membri del nuovo popolo di Dio.
Ma la fondazione, come è noto, sarebbe stata portata a termine con la costituzione del collegio apostolico, la comunità dei primi vescovi, incaricata di annunciare la venuta del Regno, di battezzare e di condurre alla fede tutte le genti, sotto la guida di Pietro, incaricato da Cristo di confermare nella fede e governare con l’assistenza dello Spirito Santo, il popolo santo di Dio, il gregge di Cristo, dotato di doni carismatici per il bene, la diffusione e lo sviluppo della Chiesa nel mondo, per convertire i popoli a Cristo ed animare evangelicamente tutte le realtà terrene, dando inizio al Regno di Dio ed alle primizie della futura resurrezione.
Cristo istituisce il collegio degli apostoli con poteri di ammaestramento, governo e santificazione.
L’ammaestramento costituirà il Magistero della Chiesa, interprete della Scrittura e della Tradizione, dotato collegialmente, sotto la guida del Papa, di un carisma di infallibilità. Il singolo vescovo può sbagliare, peccare e cadere anche nell’eresia.
Governo è la guida pratica e concreta della comunità, come potere legislativo, giudiziario e pastorale (potestas clavium). Qui la Gerarchia è assistita dallo Spirito Santo, ma non è impeccabile, perché può mancare di prudenza o di discernimento e resistere all’impulso dello Spirito.
Santificazione è il potere sacerdotale di amministrare i sacramenti, che sono fatti, atti o segni sensibili della grazia, i quali, per il loro stesso operare (ex opere operato) producono e comunicano la grazia al fedele ben disposto. Come è noto, gli sposi sono i ministri del sacramento del matrimonio, dove noi vediamo quale alta stima la Chiesa abbia della sessualità, se la considera qui come mezzo di santificazione. E in caso di necessità, ogni laico, uomo o donna, può battezzare.
Riassumendo, possiamo dire che la Chiesa è la comunità dei discepoli del Signore sotto la guida degli apostoli con a capo Pietro. Cristo ha fondato la Chiesa convocando il popolo dei chiamati alla salvezza a somiglianza di Mosè, che convocava il popolo d’Israele per comunicargli i comandi del Signore. Infatti, il termine «Chiesa» viene dal greco ekklesìa, che significa «chiamata», «convocazione», corrispondente all’ebraico qahàl, che significa appunto convocazione. Possiamo dire allora che la Chiesa è l’assemblea di coloro che sono chiamati – ecco la «vocazione» – da Cristo alla salvezza. E chi sono costoro? Tutti gli uomini, compresi gli Ebrei, anzi innanzitutto loro – «le pecore perdute della Casa di Israele» (Mt 10,6) -, per formare il popolo della Nuova Alleanza.
Cristo ha certamente istituito gli apostoli perchè facessero sue discepole tutte le genti. Egli chiama a sé gli uomini per mezzo degli apostoli. Ma più radicalmente, nell’intimo della coscienza, siccome vuol salvare tutti, e non tutti possono conoscerlo per fatti esterni, chiama a Sé interiormente tutti gli uomini di buona volontà mediante il suo Spirito.
Quindi la Chiesa, ancor prima di essere la comunità visibile convocata dagli apostoli, è la comunità invisibile di coloro che sono illuminati interiormente dal Logos (cf Gv 1,9), senza che magari abbiano sentito parlare di Cristo. Ma appartengono ugualmente alla Chiesa, anzi formano l’elemento-base della Chiesa, il popolo di Dio.
Il fatto che Cristo abbia affidato agli apostoli la diffusione del Vangelo non vuol dire che ogni cristiano, quindi anche il laico, non sia tenuto a fare la stessa cosa. Cambia solo l’autorità che manda il cristiano in missione. Al riguardo S.Tommaso distingue una missio a praelato da una missio a Deo.
La prima è il mandato che proviene dal vescovo al sacerdote nell’ordinazione sacerdotale. La seconda è la missione evangelizzatrice o profetica, che il laico sente come proveniente direttamente da Dio. Di norma, però, è bene che il laico, per avere la certezza dell’autenticità di questa missione, sottoponga la sua idea al parere del sacerdote o del vescovo. Ma di per sé ogni laico è libero di prendere l’iniziativa, se è certo di essere mandato da Dio, anche perchè la persona consultata potrebbe sbagliarsi. Questa partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico ha fatto sì che nel secolo scorso si cominciasse a parlare di «apostolato dei laici», con la fondazione dell’Azione Cattolica, approvata da Pio XI.
Facoltà e attività dei laici
Un campo particolarmente adatto all’evangelizzazione laicale è l’apologetica, quella disciplina morale, fondata sulla carità e l’obbedienza a Cristo, che insegna al credente il modo di indicare al non-credente le vie, i mezzi e i metodi per indurlo a credere in Cristo, mostrandogli con prove, ragionamenti adatti e con la sua stessa testimonia di cristiano la credibilità del Vangelo e della Chiesa, difendendo la religione e il cristianesimo dalle false accuse.
Un altro aspetto del ruolo del laico nella Chiesa è il fatto che egli non è solo membro della Chiesa, ma anche cittadino di una nazione organizzata ed ordinata in uno Stato. C’è qui una differenza fra il laico da una parte e clero e religiosi dall’altra. Il laico, anche se cattolico, ha i suoi obblighi immediati nello Stato e nelle realtà temporali e secolari che vi corrispondono. È con esse a contatto diretto ed in esse ha una peculiare competenza, nel momento in cui indubbiamente l’appartenenza alla Chiesa rimane per lui, come uomo di fede, l’interesse ben più importante che gl’interessi temporali.
Viceversa, clero e religiosi, quindi la Gerarchia ecclesiastica, si avvertono senza dubbio cittadini dello Stato e si studiano di rispettarne le leggi e le istituzioni, collaborando alla cura del bene comune; tuttavia la loro vocazione o missione li porta ad occuparsi prevalentemente e per dovere degli interessi della Chiesa e della salvezza delle anime, cose che, benché relative a un mondo che trascende gli interessi dello Stato, recano allo Stato immensi benefìci in ordine al buon costume, al rispetto delle pubbliche autorità, alla pubblica onestà, alla corretta amministrazione della cosa pubblica, alla libertà dei cittadini, alla giustizia e alla pace sociale, all’unità e al benessere della nazione, alla libertà religiosa, all’attenzione alle classi meno favorite e più disagiate.
Un altro aspetto del ruolo del laico cattolico nella Chiesa è la sua testimonianza di cattolico in campo politico. Non è che qui il laico sia tenuto ad un’opera di evangelizzazione esplicita, come potrebbe fare in quanto collaboratore o partecipe, per esempio nell’Azione Cattolica, delle attività missionarie, apologetiche e catechetiche della Chiesa. Egli invece deve lasciare intravvedere o trasparire la fede e la carità, che lo muovono nella stessa rettitudine, onestà e competenza del suo agire politico o come singolo o in modo associativo.
E a tal proposito dobbiamo notare un difetto nel modo di far politica dei cattolici italiani, consistente nel fatto che, anche se la loro azione è buona, troppo spesso essi sono invisibili, celati in partiti laicisti di destra o di sinistra. Sono come l’araba fenice: che ci sia tutti lo sanno, ma dove sia nessun lo dice.
Non che a un cattolico sia proibito essere di destra o di sinistra, se rispetta la dottrina sociale della Chiesa. Ma il fatto è che questo nascondersi fa sì che la loro testimonianza sia o inavvertita o poco incisiva, così sparpagliata tra i vari partiti. Per questo succede che in occasione di una tornata elettorale, gli elettori non sanno dove trovare i cattolici.
Occorrerebbe quindi una maggiore visibilità in un unico raggruppamento, anche se minoritario non importa, che non necessariamente dovrebbe raccogliere il consenso di tutti cattolici, né dovrebbe essere composto di soli cattolici, ma comunque diretto da cattolici.
E tuttavia questo raggruppamento, che potrebbe essere denominato non necessariamente con l’aggettivo «cattolico», dovrebbe comunque esprimere nella politica la missione del cattolico di essere il «sale della terra». Dovrebbe costituire quella che Maritain chiamava «minoranza profetica di choc», il «pungiglione», un fattore di sano disturbo, come diceva Socrate di se stesso, che stimola la società verso la radicalità del Vangelo, il vero «partito radicale», se mi è consentito.
La libertà di critica della Gerarchia
Un’ultima annotazione: la questione del diritto dei laici alla libertà di critica della Gerarchia e soprattutto nei riguardi del regnante Pontefice. Non è in questione il Papato come tale: siamo tutti cattolici o almeno tali ci consideriamo. Non siamo luterani. Ma ciò che è in questione è questo Papa, attorno al quale ferve un vivacissimo dibattito per non dire una guerra tra due fanatismi opposti, con reciproche scomuniche: reazionari rancorosi e modernisti adulatori.
Non è affatto questione di tradizionalismo e progressismo, di conservare o di cambiare: due tendenze in linea di principio sono del tutto lecite, se mantenute nell’alveo dell’ortodossia. Occorre vedere quali sono i punti di riferimento. Si tratta piuttosto di una grave lacerazione interna alla Chiesa, alla quale occorre porre assolutamente rimedio. Al riguardo, bisogna che i laici e non solo i laici abbiano ben chiaro da una parte che in linea di principio è lecito criticare il Papa, senza per questo passare per suoi «nemici». Ma dall’altro, occorre avere ben chiari i confini che nel criticare, non possono essere oltrepassati, per non mancare al proprio essere cattolici.
Criterio fondamentale per distinguere una critica legittima da una illegittima è che occorre distinguere nel Papa la sua autorità dottrinale, i suoi insegnamenti di maestro della fede dal suo potere pastorale, comprendente l’organizzazione dell’evangelizzazione, il governo della Chiesa, la Città del Vaticano, il rapporto della Chiesa con gli Stati, la regolamentazione dell’amministrazione dei sacramenti e il potere giudiziario e legislativo.
Ora, mentre nel campo dottrinale e dogmatico dell’interpretazione del dato rivelato, il Papa, grazie all’assistenza promessa da Cristo a Pietro, svolge, a vari livelli e a precise condizioni, una funzione magisteriale infallibile, ossia sempre verace, al di là di una possibile difettosità del linguaggio, non s’inganna e non inganna, nel campo pastorale, benché abbia anche qui un aiuto dallo Spirito Santo, può sbagliare e peccare, come la storia del Papato ampiamente dimostra.
Stando così le cose, si può dire che un laico preparato può in linea di principio sottomettere prudentemente a critica l’insegnamento, l’operato o la condotta del Pontefice. Infatti, l’insegnamento dottrinale può essere esposto senza tutte le condizioni di autorevolezza, con un linguaggio improprio, improvvisato, ambiguo o inadeguato, sotto forma di opinione personale, o di esternazione estemporanea. In questo caso può essere criticato, badando però a non formulare accuse di eresia o cose del genere. Un Papa non può essere eretico, perché ciò implicherebbe che perderebbe il potere petrino – cosa impensabile per un cattolico – di confermare i fratelli nella fede.
Criticare il Papa dal punto di vista dottrinale, nel dovuto rispetto, a quelle condizioni che ho detto sopra, per il vero bene della Chiesa, e nella speranza di essere ascoltati, può essere opera non solo lecita, ma provvidenziale. Occorrono tuttavia speciali doni profetici o una speciale preparazione teologica. Un laico deve interrogarsi se Dio lo ha messo in queste condizioni, prima di procedere.
Discorso diverso possiamo farlo per quanto riguarda il campo dell’azione pastorale del Papa, della sua condotta morale, dei suoi atti di governo della Chiesa, della scelta dei suoi collaboratori, dei suoi interventi nella politica italiana riguardo all’immigrazione, o nelle grandi questioni morali e i problemi della società.
Pensiamo, per esempio, ai rapporti con Scalfari, alla tolleranza fatta nei confronti di eretici e scismatici, alla vicenda dei dubia dei quattro Cardinali, a quella dei Francescani dell’Immacolata, all’intervento nei confronti dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, alla discussione attorno all’Amoris Laetitia, ai suoi giudizi su Lutero, al comportamento verso Mons. Angelo Viganò in occasione dell’ultimo anniversario di Pontificato, al congedo fatto al Card.Müller, alla vicenda del memoriale di Mons.Viganò, allo scandalo della sodomia e della pedofilia nel clero, agli accordi di Abu-Dhabi e con la Cina, e adesso alla questione dell’Instrumentum Laboris per il Sinodo sull’Amazzonia. Sono tutti temi, circa i quali buoni laici, come per esempio giornalisti bene informati e prudenti, possono dare un loro parere di critica costruttiva.
Dogm.Lumen Gentium, 4.
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