La più grande disgrazia

La più grande disgrazia che si possa avere è essere atei, non credere in Dio, non affidarsi a Lui e non sperare nella vita eterna. Questo è il vero, grande, unico problema e dramma dell’umanità, di fronte al quale tutte le guerre, le malattie, le ingiustizie, messe insieme, sono un nulla.
Il mondo passa, con la sua concupiscenza, dice san Paolo… ma soprattutto risuonano le parole del Signore Gesù: “Cielo e terra passeranno, le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). Questa creazione finirà nel nulla, tutto sarà distrutto e il mondo materiale e fisico terminerà la sua esistenza in un grande falò che consumerà tutto quanto, come attestato da san Pietro nella sua lettera (2 Pt 3,7).
Certo, non dobbiamo deturpare la creazione che è stata fatta da Dio per noi uomini, ma la Chiesa non è stata messa nel mondo per proteggere la “casa comune”, quanto piuttosto per fare presente e rendere operante l’azione di Cristo, che “toglie i peccati del mondo”. Sottrarsi dunque dall’opera del Signore Gesù significa rimanere nei propri peccati, significa volere la propria rovina. E tutto questo, per quale motivo? Perché non si vuole credere in Dio, che si è rivelato in Cristo, che è vivo e presente nella Chiesa e nei sacramenti.
Si trovano diverse persone, almeno qui in Italia, che dicono di credere in Dio, ma appena si parla di Chiesa, sacramenti, devozione, pratica, subito fanno gentilmente notare che essi non praticano, non si adeguano. Eppure dicono di essere credenti, perché accolgono qualche insegnamento della Chiesa (mentre ovviamente ne rigettano tanti altri), rimanendo sul vago, come se il cattolicesimo fosse una religione tra le altre. Essi dovrebbero sapere che Gesù ha detto, nell’ultima Cena: “Prendete e mangiate… Prendete e bevete…”. Si tratta di un invito preciso, fatto di gesti, di opere, che suppone la fede. Ma per accostarsi degnamente al divino banchetto occorre prima confessarsi, almeno dai peccati gravi e mortali. Ed è proprio questo che l’uomo orgoglioso non desidera: riconoscere in Dio il Padre che perdona, sapersi quindi bisognosi di pietà e di piegare il ginocchio e chiedere perdono all’unico che toglie i peccati del mondo.
Questo ateismo è una disgrazia immane, perché di anime ne abbiamo una sola, di vite ne abbiamo una sola, e quando moriremo il nostro destino eterno, che si sappia o no, che si voglia o no, dipenderà dalla nostra fede e dalla nostra carità operosa.
“Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”, recita un feroce proverbio livornese. Ma qui di morti in casa ne abbiamo tanti: sono gli atei, coloro che non vogliono credere, coloro che si chiudono volontariamente alla grazia divina. Sono morti (alla vera vita), anche se camminano, vestono in giacca e cravatta, parlano in modo forbito, ridono e scherzano.
Quanti ce ne sono, nella nostra bella Italia ex-cristiana! Su di essi non vi può essere che un grandioso pianto… Il pianto del Signore su Gerusalemme, che offre la sua vita e si vede respinto. Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto, scrive l’apostolo Giovanni (Gv 1,11). Ancora una volta, oggi, questo succede. Eppure il Signore, Dio, è sempre all’uscio, sta lì, come un “pisano” incallito che non demorde, e le tenta tutte pur di conquistare un’anima alla luce.
Sì, l’ateismo è la maggior disgrazia che possa capitare. Altro che razzismo, altro che Amazzonia…
Ma per cessare di essere atei non occorre chissà che cosa: basta decidere di credere in Dio, chiedere a Lui la grazia e l’aiuto, umiliarsi e rinascere.
Deep State & Deep Church
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