L’Occidente non ha più uno Stato guida

Uno sguardo d’insieme sulla situazione politica globale.
Da quando gli Stati Uniti hanno mutato il confronto politico interno in lotta ideologica, è iniziata la loro decadenza da Stato guida dell’intero Occidente. La lotta ideologica ha mutato gli obiettivi principali e immediati della tenzone fra i due tradizionali partiti antagonisti della contesa politica, i democratici progressisti e i conservatori repubblicani, trasformando gradualmente i fini e gli obiettivi dell’intera nazione. I democratici si battono per il trionfo dell’Umanesimo democratico più radicale, con un sovvertimento della morale e un allontanamento dalla civiltà occidentale cristiana; i repubblicani (anche se con più di una eccezione al loro interno) si battono contro le proposte dei democratici e cercano, con differenziazioni fra una corrente e l’altra, di frenare questa deriva antropologica rivendicando la tradizione e la salvaguardia dei principi morali. La lotta fra i due partiti diventa sempre più aspra, come è normale che avvenga quando la competizione è fra rivoluzionari e conservatori. La lotta comporta l’affievolimento dell’attenzione verso gli altri obiettivi, compresi gli interessi vitali della confederazione. La mancanza di compattezza sugli interessi fondamentali dello Stato porta ad essere strabici sia in politica interna che in quella estera, con un inevitabile indebolimento generale e perdita di influenza in ambito internazionale.
Così, a mano a mano che la lotta politica mutava gli obiettivi dal piano strettamente politico e militare a quello ideologico, si allentava parallelamente l’attenzione verso i rapporti impostati su un piano di condivisa egemonia e di tutela, tramite la Nato, sugli Stati dell’Europa e dell’Occidente in senso lato. Un Occidente che andava gradualmente perdendo pezzi (cioè alleati) in ambito mondiale a motivo della dirompente espansione economica e politica degli Stati dell’Asia orientale; Stati che si sentivano abbastanza maturi per allentare quei datati rapporti, in base i quali si consideravano gli USA lo Stato guida anche del grande bacino dell’est asiatico.
Lo stesso attacco alle Torri Gemelle fu una conseguenza del già avviato declino degli Stati Uniti come unica superpotenza a livello mondiale rimasta dopo l’implosione dell’Unione Sovietica.
L’ultimo decennio del secolo ventesimo fu quello che più accentuò l’eclisse degli USA come superpotenza riconosciuta a livello planetario. I paesi dell’est asiatico erano letteralmente esplosi economicamente al punto di sentirsi in grado di allentare i rapporti con gli USA e vedevano nella Cina quella potenza che poteva garantire in un prossimo futuro l’ulteriore sganciamento dalla egemonia statunitense. La Cina negli anni novanta stava prendendo la rincorsa per divenire quel colosso economico e militare capace di competere ad armi pari con gli Stati Uniti.
Contemporaneamente, anche alcuni stati islamici stavano crescendo e acquisivano la consapevolezza di non dover più subire quella sudditanza psicologica dello Stato agganciato al carro della superpotenza statunitense. Questi Stati erano l’Iraq e l’Iran usciti entrambi da una sanguinosissima guerra interna al mondo islamico che li aveva indeboliti sul piano economico e militare senza però scalfirne la volontà di ripresa e di espansione sia in ambito territoriale sia economico.
Afflosciatasi l’Unione Sovietica, anche gli Usa si rilassarono e indirizzarono il loro obiettivo principale a porsi come Stato guida per una riforma mondiale di natura ideologica che, inseguendo teorie antropologiche diametralmente opposte a quelle che avevano garantito l’ascesa dell’Occidente come civiltà cristiana, seppur laicizzata, a guida dell’intero pianeta. Lo stesso scontro tra le due superpotenze USA e URSS era stato, in ultima analisi, uno scontro interno alla civiltà occidentale, la cui supremazia a livello planetario derivava dalla loro appartenenza ad una civiltà che si riconosceva fondata sul messaggio cristiano capace di liberare le energie e le potenzialità dello spirito umano verso quelle conquiste sia morali che materiali che giustificano il nome di civiltà. Il messaggio cristiano aveva nutrito i popoli dell’Occidente e dell’Oriente ortodosso con una fede religiosa che apriva alla mente umana orizzonti di libertà e di progresso sino ad allora sconosciuti. Libertà e progresso che erano però sorretti da una disciplina morale che assicurava la tenuta della libertà individuale e di comunità entro limiti che non si allontanavano dal rigoroso rispetto della natura umana. L’Occidente e gli stessi Stati cristiano-ortodossi nel riconoscere il primato della coscienza dell’Uomo non si erano scostati, sin quasi alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo, dalla barriera metafisica, ad eccezione di alcune frange progressiste che erano penetrate nei ranghi non soltanto della laicità, ma anche di un parte del clero sia cattolico che riformato.
Il seme della dissoluzione, ricavato da eresie cristiane mai sopite sin dai primordi come la gnosi, stava maturando lentamente ma con inesorabile progressione nello spirito dell’Occidente e dell’Oriente a guida russa. Il katecon che tenne a bada questo seme di dissolvenza di una civiltà tanto gloriosa quanto tormentata nel suo interno, crollò negli anni sessanta con il Concilio Vaticano II, la cui chiusura coincise con l’apertura di un vaso di Pandora capace di sconquassare l’intero mondo. Il mondo, infatti, era stato contagiato da quello spirito progressista e pseudo scientista che, penetrando in civiltà che avevano una loro potenziale capacità di competere con l’ecumene cristiana seppur laicizzata, venne a trovarsi come immerso in un crogiuolo ove ribollivano fermenti di diversa ed opposta natura, capaci, ciascuno, di scatenare esplosioni differenziate in più direzioni, ma tutte rivolte verso l’obiettivo di guadagnare consensi sempre maggiori, sia all’interno dei singoli Stati sia nei rapporti internazionali.
Le civiltà asiatiche, tutte imperniate in una antropologia rispettosa della natura umana; quella islamica, ancorata ai principi coranici di un fideismo teistico che non rifiutava però le singole tradizioni ancestrali dei singoli popoli; quella indiana, che seguiva concezioni etiche e antropologiche contraddittorie, si trovarono tutte, nello spazio di un secolo, a scontrarsi e incontrarsi con la civiltà occidentale che, per sua intima vocazione, era missionaria, nel senso di voler diffondere i suoi modi di vita comprendenti non soltanto l’aspetto materiale dell’esistenza, ma soprattutto anche quello sociologico, cioè delle relazioni fra le singole persone e fra esse e lo Stato.
Questo incontro-scontro di popoli non poteva non dar luogo ad una rivoluzione mondiale, che è attualmente sotto gli occhi disorientati di tutte le popolazioni di questo mondo. L’apporto dell’Occidente cristiano (concetto che in sé comprende anche l’apporto ebraico e greco/romano) è stato determinante alla maturazione del mondo così come è oggi e questa diffusione a livello planetario del sistema di vita occidentale avviene quando l’Occidente si trova in uno stato di regresso e di involuzione dovuta all’abbandono delle sue radici cristiane. L’abbandono di queste radici ha condotto una parte rilevante delle popolazioni degli Stati occidentali (con un’incidenza molto differenziata tra uno Stato e l’altro) ad una vera e propria apostasia dalla religione cristiana sostituita, prevalentemente, da un ateismo di maniera ammantato di filantropia e da un libertinismo individuale a sua volta derivato dall’abbandono di quella disciplina morale e dei principi cardine del Cristianesimo. L’Italia, che sembrava la più tutelata da questa degenerazione morale per la presenza della sede papale nel suo centro politico e territoriale, è quella che ha subito, dal 2013 in poi, un’accelerazione imprevedibile nella sua corsa verso la perdita di identità come paese cattolico. La frattura interna fra conservatori e progressisti, fra destra e sinistra, è stata accentuata dall’appoggio palese del Papa regnante e di una parte consistente del clero – in particolare dei giovani preti – alle posizioni di una sinistra sempre più radicale nelle sue manifestazioni morali e di costume e al favoreggiamento di una immigrazione che è destinata a compromettere irreversibilmente l’identità nazionale. L’immigrazione comporterà, in un lasso di tempo che dipenderà dalla differente natalità dei vari gruppi religiosi di appartenenza, ad un mutamento della composizione etnica e religiosa della popolazione, con inevitabili conseguenze sulla compattezza sociale e nazionale.
La stessa situazione è peraltro comune agli altri Stati europei che sono stati invasi da una incontrollata immigrazione negli ultimi trenta anni. La presenza mussulmana in Europa è già talmente elevata che, dato il differente indice di incremento demografico delle famiglie mussulmane, causerà a breve una forte presenza mussulmana su tutto il territorio europeo, fatti salvi gli Stati già soggetti al dominio sovietico, che hanno opposto un deciso rifiuto ad accettare gli immigrati.
L’Islam è una di quelle civiltà che nell’ultimo secolo ha fatto i passi più decisi nel ritrovare la sua identità, il suo orgoglio e l’ardore combattivo che è nel suo DNA etnico/religioso. E’ stato proprio l’Islam ad accendere la miccia della rivolta con l’attacco alle Torri Gemelle di New York. Era una dichiarazione di guerra vera e propria cui gli Stati Uniti e l’Occidente hanno risposto in modo scomposto, privo di una strategia coerente e consapevole dei rischi e delle misure adeguate per superarli e, soprattutto, prive di quello spirito di compattezza e di orgoglio nazionale, nonché di quel coraggio individuale che soltanto motivazioni forti e condivise dalle masse popolari ma, soprattutto, dalle giovani leve capaci di incendiarsi se colpite negli affetti e in quelle eredità morali e storiche che richiedono una educazione che nasce nelle famiglie e in tutti i gruppi sociali in cui si suddivide la popolazione.
Tutto l’Occidente, dalla guerra del Vietnam in poi, ha visto i suoi giovani inveire contro le guerre cui, in alcuni Stati, furono chiamati non per difendere valori sacri come la Patria, intesa come nazione, e con essa le piccole patrie delle suddivisioni amministrative; non per difendere valori come la propria fede o la comune civiltà in cui i singoli Stati si riconoscono. Furono chiamati a combattere in una guerra che non sentivano come propria, una guerra contro popolazioni sconosciute sulle quali si facevano piovere ordigni di una elevatissima e spettacolare potenza distruttiva che, per la prima volta dopo Hiroshima e Nagasaki, furono usati indiscriminatamente contro le truppe combattenti e contro i civili . Quei giovani americani gettati nell’orrore di quella guerra, ove soltanto chi combatteva per uno scopo sentito come proprio da ciascuno dei combattenti poteva darsi l’ardire di lottare sino al sacrificio personale, quei giovani, dunque, si ribellarono gridando contro le guerre ed inneggiando a porre fiori nei cannoni. Dagli Stati Uniti quel grido si diffuse in tutto l’Occidente e quei giovani di ambo i sessi furono chiamati figli dei fiori. L’America non se ne curò quanto il caso richiedeva e quei giovani senza ideali, se non quelli che s’erano dati da soli per ribellione contro l’imposizione di guerre dichiarate soltanto per confermare una supremazia politica che scemava parallelamente all’affievolimento della coesione interna, divennero la beat generation, quella generazione che si mosse anche negli altri paesi d’Occidente inseguendo falsi ideali e miti coltivati nelle più celebri università, quei miti che ora sono le pietre sui cui si fonda la rivoluzione antropologica e nikilista, la rivoluzione che vuole fare dell’Uomo il dio di se stesso e che combatte contro la realtà della natura e contro Dio stesso.
Con questa gioventù e con coloro che sono già maturati in questi anni saremo in grado di affrontare, a breve, i giovani islamici che sono in casa nostra, accolti come risorse, magari con la speranza che abbraccino un Islam meno battagliero come fa comodo a chi si vuole illudere con il suo Islam creato dalla fantasia del Buonismo imperante, con un Islam pacifista e bonaccione che esiste soltanto nella mente di coloro che sono ammalati di un crescente odio verso tutto ciò che è cattolico oppure di coloro che ne sono complici, perché convinti che è meglio una religione come l’Islam, che è assolutista, ma sostanzialmente povera di obblighi e, soprattutto, priva di preti e di gerarchie?
Le masse non comprendono che l’Islam è funzionale ai disegni della Massoneria mondiale e della relativa Sinarchia perché, come essa, ha un solo Dio, anche se chiamato Grande Architetto dell’Universo. L’Islam ha poche regole e poche prescrizioni di natura sacra. Non ha liturgie e paramenti sacri, non ha un’organizzazione capillare e diffusa sul territorio come la Chiesa, non ha chiese ove la gente possa trovare conforto e consolazione spirituale. Ha moschee, è vero, ma in esse non si celebrano riti coinvolgenti, che richiamano fatti ed eventi lontani carichi di significati escatologici, non ha una storia religiosa come il Cristianesimo, che ha migliaia e migliaia di santi e di benefattori dell’umanità. I santi dell’Islam sono pochissimi e quasi sempre guerrieri famosi per le loro stragi. I loro filosofi e teologi furono spesso perseguitati e uccisi e un tipo di monachesimo islamico (il Sufismo) che si poteva conciliare con quello cristiano, è stato messo ai margini della società islamica e guardato con sospetto dalle autorità civili e dagli Imam. Gli Imam che sono una sorta di sacerdoti senza ordinazione sacra usciti da Madrasse di secondo livello, ove lo studio dell’Islam è prevalentemente giuridico e casuistico, come avveniva nel fariseismo ebraico dei tempi di Gesù.
L’Islam è funzionale alla Massoneria perché prevede la prevalenza del potere civile su quello religioso. Il califfo o il sultano era l’unico e vero capo di un impero o di uno Stato di quello stesso Impero e deteneva anche il potere religioso coadiuvato dagli Imam, che sono funzionari del potere centrale.
Ecco perché l’Islam è funzionale alla Massoneria e alla sinarchia che vuole prendere il potere nel mondo. Nell’Islam del futuro sognato dalla Massoneria ci saranno le Università, ma queste non potranno discettare di filosofia, di storia delle dottrine politiche o di sociologia se non di quelle discipline compatibili col Corano o rese con esso compatibili, poiché quel libro è la Costituzione identica per tutti i popoli e per tutti gli stati islamici, nonché Codice Civile e Penale allo stesso tempo. Sarà inoltre norma religiosa la cui spiegazione, a cominciare dall’infanzia, sarà competenza degli Imam che lo spiegheranno nelle Madrasse.
Gli Imam non sono sacerdoti, si diceva, ma catechisti chiamati ad insegnare il Corano e a spiegarlo. Gli Imam, o meglio alcuni di loro, saranno chiamati come coadiuvanti del potere civile, ma nulla di più. Il potere civile non avrà, come contropotere, una gerarchia di preti che possano costituire un’autorità morale col relativo potere di valutare le sue azioni alla luce della sacra scrittura islamica (il Corano).
Gli Imam saranno i garanti del potere civile come avveniva per i sultanati o per l’Impero ottomano.
In sintesi, l’Islam è funzionale alla Massoneria perché il Corano è scarno come insegnamenti religiosi, ma molto diffuso come normatore di prescrizioni di carattere civile e penale. L’ideale per un governo di pochi eletti che hanno come garanti un testo sacro a far da loro scudo.
Strano che questa caratteristica dell’Islam sia sfuggita ai padri conciliari del Concilio Vaticano II e che ancora sfugga a molta parte della Chiesa docente. Questo argomento merita un approfondimento che rimandiamo al futuro prossimo. Una cosa è certa: per la Massoneria è meglio avere a che fare con una religione come quella Islamica, che è anche codice penale (quanti problemi risolti!), piuttosto che con la cristiana che ha una struttura complicata ma anche molto duttile e, soprattutto, un vertice che tiene unite strettamente le varie diramazioni sparse su tutta la terra.
Giunti a questo punto ci si chiede come potrà evolvere la situazione geopolitica di questo nostro mondo.
Di superpotenze oggi sembra essercene una sola, ma essa non è rappresentata dagli Stati Uniti, bensì dalla Cina. La Cina, per la sua affinità morale e storica alla civiltà e alla mentalità delle altre minori potenze asiatiche che oggidì formano uno dei più forti conglomerati politici ed economici a livello planetario, costituisce l’unica autentica Grande Potenza.
Gli Usa che hanno gettato al vento l’occasione di associare a sé la Russia post-sovietica quando essa era ancora disorientata dal crollo di tutte le sue strutture interne, sia militari che civili, non ha più il potenziale umano per fronteggiare il colosso cinese. Un miliardo e mezzo di cinesi, senza contare l’apporto delle altre potenze asiatiche di secondo rango, hanno una schiacciante superiorità in fatto di uomini rispetto agli Stati Uniti. In fatto di armamenti, la Cina e i suoi satelliti sono, o lo saranno a breve, in grado di pareggiare e di superare la potenza in fatto di armamenti che gli Stati Uniti posseggono o possono possedere.
Questo vantaggio, che è già attuale, tenderà a crescere in futuro, a meno che gli USA rinsaviscano e mutino politica in modo radicale e, soprattutto, mutino la gestione interna abbandonando le fisime ideologiche che hanno condotto la grande nazione americana verso una dissoluzione morale che influisce sulla demografia e sulla capacità di sviluppo e di crescita in ogni senso dello Stato centrale e degli Stati confederati, sempre che non sia troppo tardi.
Su quali alleati potranno contare gli Stati Uniti? Sull’Europa, su questa Europa che insegue a livello centrale le stesse fisime di uno dei due partiti statunitensi, quelle fisime che perseguono il sogno utopico di voler mutare l’antropologia e la natura umana, coadiuvate in questo percorso da un clero cristiano che ha perso di vista il Vangelo e ha accettato la legittimazione delle cosiddette conquiste civili come l’aborto, l’omosessualità, il divorzio e ha soprattutto lasciato che si distruggesse l’istituto della famiglia, l’unico vero cardine e pietra fondante di ogni comunità umana? Per marciare unita al mondo nel comune obiettivo della giustizia sociale, la Chiesa ha dovuto accettare il peccato come compagno di strada, quel peccato che si traduce nell’innalzare i vizi dell’uomo a conquiste della civiltà.
Gli Usa potrebbero effettivamente contarci sull’Europa a condizione, però, che dimentichino loro per primi l’utopia di rivoluzionare la natura umana e tornino ad appoggiare nel vecchio continente le popolazioni dei vari Stati che costituiscono ancora la stragrande maggioranza fedele alla tradizione e alle proprie radici storiche e culturali. Se gli Usa sterzeranno verso questa soluzione non potranno fare a meno pure della Russia, la quale, rinsaviti moralmente i Paesi occidentali, non potrà che aderire ad una alleanza strategica e di civiltà con tutti gli Stati appartenenti alla vecchia Nato, fatta esclusione della Turchia. La Russia, con la catena di Stati islamici di etnia turcomanna che si estendono per una grande estensione nella parte meridionale dell’Asia centrale e con la smisurata estensione di un territorio vasto e scarsamente popolato come la Siberia non potrà non allearsi che con l’Occidente cristiano (o già cristiano). Avere le spalle al sicuro potrà costituire per la Russia la garanzia della sua sopravvivenza come potenza mondiale, anche se di secondo rango. Un Blocco di Stati che comprenda tutta l’Europa, comprese le enclave islamiche della Balcania, che fungeranno da avamposto e da cuscinetto ammortizzatore degli scontri, potrà tenere a bada con facilità la Turchia, tornata ai sogni dei fasti imperiali. Gli attacchi terroristici da parte delle minoranze islamiche ora presenti in Europa saranno inevitabili (e di questo dobbiamo ringraziare la cecità di coloro che ne hanno favorito l’insediamento), ma le immediate rappresaglie senza distinzione tra responsabili ed innocenti e l’accerchiamento delle isole residenziali occupate da queste minoranze potranno facilitare la loro neutralizzazione, se necessario ricorrendo anche ad espulsioni di massa. A mali estremi, estremi rimedi. La guerra non è uno scherzo e come tutte le cose serie va presa con razionalità e decisioni rapide e risolutive. A tenere a bada la Turchia ci penserà poi Israele e, soprattutto, ci penseranno le minoranze che essa si ritrova al suo interno debitamente sostenute dall’esterno a cura dell’Occidente.
Un’Europa unita dall’Asia centrale, da un lato e dall’Oceano Pacifico, dall’altro, non dovrebbe temere avversari di sorta, ma per ottenere questa sicurezza dovrà tornare a prendere in seria considerazione un ritorno alle proprie radici religiose e culturali. La miglior difesa per ogni nazione non può che discendere dalla volontà convinta dei suoi membri.
La geografia vuole che l’India e l’Australia e altri pochissimi paesi dell’Asia costituiscano quel prevedibile potenziamento dell’Occidente già rinforzato dall’Oriente ortodosso e con l’altro prevedibile appoggio di buona parte dell’America latina. Teatro di competizione non potrà che essere l’Africa, sia per l’incremento della sua popolazione sia per la ricchezza del suo sottosuolo. Uno studio sull’Africa sarebbe necessario ed essenziale per comprendere il destino non solo di quel continente, ma anche dell’Europa, che è strettamente ad essa connessa da vicinanza territoriale e da legami antichi.
Ne potremo riparlare ma per ora accontentiamoci di avere preso in considerazione quello che si è affrontato in queste righe.
Cesaremaria Glori
Deep State & Deep Church
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