QUESTIONE DI TRADUZIONE

Si fa un gran parlare della nuova traduzione in italiano del messale, con alcune parole cambiate, messale che verrà consegnato in via ufficiale dalla Chiesa e reso normativo per tutti nei prossimi mesi. Tutti sanno che le parole del Padre Nostro: “non ci indurre in tentazione” verranno cambiate in “non abbandonarci alla tentazione”, e nel Gloria l’espressione “pace in terra agli uomini di buona volontà” diventerà “pace in terra agli uomini che Egli ama”.
Ci si domanda se queste traduzioni non hanno il significato recondito di cambiare pian piano la sostanza della Messa, se questo non sia quindi un vero attentato al sacramento dell’Eucaristia. Si sentono i pareri più disparati: chi accoglie la variazione senza particolari problemi, chi dichiara che continuerà a dire la vecchia formula, eccetera.
Questa traduzione quindi aumenta il clima già ribollente che si ha nella Chiesa e ci si domanda se sia veramente opportuno introdurre queste novità.
In effetti, per rimanere sul Padre Nostro, cambiare le parole in lingua italiana pone subito un’altra domanda: allora tutti coloro che finora hanno detto “non ci indurre in tentazione” hanno sbagliato? Non hanno pregato il Padre Nostro? Hanno attribuito a Dio un’azione impropria (indurre in tentazione)?
Si discute, ma non ci si è accorti che da cinquant’anni diciamo in italiano un’espressione assai più grave rispetto a quel “indurre” o a quel “che Egli ama”. Mi riferisco alle parole centrali della transustanziazione.
Da quando è stato chiesto di celebrare la Messa in italiano, noi sentiamo il sacerdote all’altare dire: “Prendete e bevete, questo è il mio Sangue… versato per voi e per tutti…”.
Facciamo un passo indietro. Quando la Santa Sede promulga un qualsiasi documento ufficiale, lo fa in lingua latina, che è la lingua della Chiesa (un’enciclica, un decreto del Concilio, un libro liturgico, eccetera), poi consegna tale documento in lingua latina alla Chiesa universale, che provvederà, nazione per nazione, alla traduzione nella lingua del proprio Paese. Così, quando nel 1970 fu consegnato alla Chiesa universale il nuovo messale (che trasformava la cosiddetta Messa di Pio V, quella celebrata in latino in tutto l’Orbe cattolico fino a quel momento, nella nuova Messa, cosiddetta di Paolo VI, tanto per capirsi), esso fu dato in lingua latina. Il decreto di consegna risale al 26 marzo 1970 e porta le firme del Cardinale Benno Gut e del segretario Annibale Bugnini. Ebbene, questo messale in latino porta, nella formula di transustanziazione sulle sacre specie del vino, le seguenti parole: “Accipite et bibites ex eo omnes… qui pro vobis et pro multis effundetur…” Facile capire il senso e facile la traduzione: “Versato per voi e per molti”. Questo “per molti” fu la frase pronunciata esattamente da Gesù nell’ultima cena. Facile la traduzione? Non tanto: quando la Conferenza dei vescovi italiani promulgò il messale in lingua italiana, trovammo che la traduzione fatta fu: “Versato per voi e per tutti”. Quel “molti” divenne “tutti”.
Mi sembra che l’errore sia molto più colossale che le parole del Padre Nostro e del Gloria, oggetto di discussione oggi, anche perché là vanno a toccare il centro del mistero eucaristico: il Corpo e il Sangue di Cristo nel momento in cui la sostanza viene mutata.
Possibile che allora nessuno ebbe a protestare? Se Gesù disse “versato per molti”, perché per i vescovi italiani invece si deve dire “versato per tutti?”. Non importa discutere sulla teologia della salvezza, su quanti si salveranno, eccetera: qui stiamo parlando di semplice traduzione, che risulta totalmente errata e arbitraria.
Non così fecero le altre Conferenze dei vescovi. Se voi andate in Inghilterra o negli USA, i sacerdoti dicono tutte le domeniche: “For you and for many”, che significa appunto “per voi e per molti”. Non dicono “for you and for everyone”, ma traducono bene il latino “multis” in “many”.
Dunque, da oltre 50 anni noi in Italia sentiamo la Messa con questa evidente stortura di traduzione. E non sembra che alcuno dica nulla.
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